È difficile immaginare un lavoro, oggi, che non sia condizionato dal digitale e dalla cosiddetta “connessione”. Mettendo di lato gli impieghi che si occupano di management, finanza, comunicazione, ingegnerie varie e chi più ne ha più ne metta, anche quelle attività tradizionalmente “analogiche” sono ormai completamente rivoluzionate. Un artigiano non può esimersi dal vendere online, un negozio dall’interazione social con i clienti, un supermercato dai servizi di spedizione, un’azienda agricola dai sistemi di monitoraggio e dall’interazione distanza con i propri dipendenti.
Discutere di quanto tutto questo generi maggiore produttività o migliori la vita di aziende e persone è argomento troppo complesso per un articolo di giornale. C’è però un punto sul quale moltissimi lavoratori, soprattutto delle nuove generazioni, stanno iniziando a prendere consapevolezza e a cercare un punto di caduta che dia un risultato semplice per quanto complesso: la ricerca di un equilibrio. Tra vita privata e lavorativa, tra produttività e riposo. La tutela del benessere a fronte del necessario sforzo.
A proposito di questo, vi sono tre direttrici fondamentali sulle quali interrogarsi.
La prima, la più scontata, è la necessità di fornire strumenti adeguati per un lavoro “ben connesso” e di qualità, che limiti le perdite di tempo e massimizzi il supporto tecnologico alle attività umane.
La seconda, molto più complessa, è quella dei nuovi diritti che devono essere sviluppati in seguito a queste trasformazioni, in particolare uno: il diritto alla disconnessione. È impensabile immaginare che la qualità del lavoro peggiori a causa del digitale, seppur sia quanto avviene in troppi casi. Intendiamoci, il tutto è sempre relativo alle responsabilità che si ricoprono e alla tipologia di lavoro che si svolge, ma lo stare connessi e lo svolgere attività oltre orario, approfittando del fatto che ci si possano inviare file o organizzare videochiamate con WhatsApp, non può essere l’alibi per violare i contratti. Su questo occorrono nuove linee guida e regolamenti aggiornati, supportati anche da studi scientifici – già esistenti – che dimostrino che la produttività aumenta se si lavora con metodo e rispettando le ore previste.
La terza, la più immediata: la formazione. Dobbiamo essere consapevoli di cosa comporta utilizzare certi mezzi tecnologici e di come poter costruire un equilibrio sano. Per noi e per il lavoro che svolgiamo.
Insomma, c’è tutto da rivedere. Ma non è poi così difficile, basta volerlo.
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