Una cosa è ormai fuor di ogni dubbio: l’IA stravolgerà nel futuro prossimo il mondo del lavoro. Non ci troviamo di fronte ad una semplice innovazione, ma al principio di una rivoluzione. Questo ci spaventa terribilmente: abbiamo intuito la portata di questo cambiamento ma non sappiamo ancora bene dove mettere le mani. Per questo in molti oggi, impauriti, si chiedono: come resistere all’intelligenza artificiale? Non c’è domanda più sbagliata. Dobbiamo, liberi da pregiudizi, mettere bene a fuoco i ribaltamenti di prospettiva e le opportunità che abbiamo di fronte per capire come sfruttare al meglio questo cambiamento radicale ed ormai inevitabile che ci troveremo ad affrontare.
Da sempre abbiamo funzionalizzato le nostre competenze in maniera tale da essere in grado di dare risposte, degli output insomma. Chi è in grado di rispondere meglio ai quesiti che gli vengono posti sul lavoro è colui che produce i risultati migliori, e presumibilmente avanza di posizione. Sommariamente, così ha sempre funzionato. L’IA, grazie ad una serie di algoritmi che replicano l’intelligenza umana, riesce, con gli input corretti, a dare risposte migliori di un essere umano, essendo molto più efficiente e veloce a migliorarsi in base ai feedback che riceve, soprattutto quando si tratta di operazioni intellettuali meccaniche o iterative, che sono poi la gran parte delle mansioni assegnate alla maggioranza dei lavoratori da ufficio. Dunque, quando gli strumenti di Intelligenza Artificiale saranno integrati nella quotidianità degli uffici, per ottenere i risultati migliori non sarà richiesto al lavoratore di saper dare la risposta migliore, ma, individuato il problema, di fare la domanda giusta, dare l’input migliore, per ottenere la risposta corretta, ovvero l’output desiderato. Per la prima volta, dunque, una tecnologia non serve solo a facilitarci nel produrre la risposta migliore, ma è in grado di produrla essa stessa autonomamente, grazie ad un nostro impulso corretto. Questo porterà a due conseguenze.
La prima è immediata ed evidente: per contribuire nel lavoro in maniera efficace dovremo assolutamente rifunzionalizzare le nostre competenze, con la prospettiva di creare non output ma input complessi, adeguati ad ottenere il risultato desiderato. Una prima volta nella storia del lavoro.
La seconda è che realisticamente gran parte delle persone assegnate a lavori ripetitivi e a basso valore aggiunto che si svolgono con pattern ciclici, saranno sostituti da algoritmi più efficienti. Questo ci terrorizza, ma è in realtà un’opportunità incredibile per i lavoratori e per le aziende.
Da un lato, per i primi, la possibilità concreta di eliminare queste posizioni con compiti ripetitivi e considerati tipicamente alienanti, in cui il lavoratore è di fatto un semplice ingranaggio, lasciando invece agli individui professioni in cui sia valorizzata l’individualità e la componente umana, lasciando insomma alle macchine cose da macchine, e agli esseri umani cose da esseri umani, per creare un lavoro più a misura d’uomo. Ovviamente ci saranno poi una serie di soggetti che non riusciranno, o non potranno, adattarsi a questo cambiamento per evidenti questioni anagrafiche e di competenze digitali già carenti, che dovremo tutelare e sostenere con delle misure ad hoc.
Dall’altro, oggi, per le aziende, poter destinare le risorse umane ed economiche risparmiate verso il miglioramento del wellness aziendale e l’abbassamento dell’impatto sociale ed ambientale della propria attività, risponde ad una necessità fondamentale dal momento in cui per loro queste sfide si stanno trasformando da semplice dovere sociale e morale, ad un vero e proprio obbligo, vista la progressiva e già annunciata stretta sulla compliance ESG.
Le domande giuste non vanno fatte solo all’IA, ma anche a noi stessi, se vogliamo riuscire ad affrontare il cambio di passo che questa nuova tecnologia ci imporrà. E tra tutte, la domanda che dobbiamo porci in principio, non è dunque come resistere, ma come prepararci per sfruttare al meglio questo cambiamento che è già iniziato.
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